#Province: un esempio del perchè serva un ente intermedio, al di là del #populismo #lavoro

A cosa può servire un ente di livello intermedio tra regioni e comuni? Stando alla vulgata populista-giornalistica a nulla. E, infatti, la strada verso l’abolizione delle province appare segnata, senza tenere in alcun conto il necessario rapporto costi-benedifici e il problema della corretta rassegnazione delle funzioni e competenze.
Eppure, fatti concreti dovrebbero portare a riflettere un po’ meglio. Nessuno conosce bene quali siano le competenze e funzioni provinciali, anche se è abbastanza diffusa l’idea vaga di una loro funzione di coordinamento dei comuni, non si sa bene di cosa.
Sta di fatto che le province, ad oggi, sono ancora titolari della competenza alla gestione della funzione di aiuto alla ricerca di lavoro e della formazione professionale, per effetto di un complicato intreccio di leggi statali e regionali.
Ora, a seguito della riforma Fornero, i servizi pubblici per il lavoro, quelli operanti presso le delende province debbono, ai sensi dell’articolo 3, comma 1-bis, del d.lgs 181/2000 nei confronti dei beneficiari di ammortizzatori sociali per i quali lo stato di disoccupazione costituisca requisito, offrire almeno le seguenti azioni:
a) colloquio di orientamento entro i tre mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione;
b) azioni di orientamento collettive fra i tre e i sei mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione, con formazione sulle modalità più efficaci di ricerca di occupazione adeguate al contesto produttivo territoriale;
c) formazione della durata complessiva non inferiore a due settimane tra i sei e i dodici mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione, adeguata alle competenze professionali del disoccupato e alla domanda di lavoro dell’area territoriale di residenza;
d) proposta di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo entro la scadenza del periodo di percezione del trattamento di sostegno del reddito.
In più, nei confronti dei beneficiari di trattamento di integrazione salariale o di altre prestazioni in costanza di rapporto di lavoro, che comportino la sospensione dall’attività lavorativa per un periodo superiore ai sei mesi devono prevedere almeno l’offerta di formazione professionale della durata complessiva non inferiore a due settimane adeguata alle competenze professionali del disoccupato.
Giustissimo. Un sistema molto importante per aiutare a cercare un nuovo lavoro consiste in un sistema di formazione professionale che permetta ai lavoratori di acquisire competenze per rendersi appetibili presso nuovi settori ed aziende.
Nella riforma Fornero, tuttavia, manca un piccolo particolare: non è prevista alcuna fonte di finanziamento per le intense attività formative che, pure, ritiene doveroso attuare. Né le regioni dispongono a proposito di fondi, avendoli tutti destinati agli ammortizzatori in deroga.
Pertanto, gran parte dei livelli essenziali delle prestazioni previste dalla riforma Fornero, e in particolare quelle connesse alla formazione, resteranno lettera morta.
Eppure, le delende province qualcosa potrebbero fare, a partire da una piccola esperienza di vita vissuta. Un comune della provincia di Verona si è convenzionato con la delenda Provincia veronese, affidandole il compito di realizzare interventi formativi specificamente mirati ai propri residenti, finanziandoli con 7000 euro.
I comuni facenti parti della delenda provincia di Verona sono 98. Se tutti i comuni decidessero di destinare 7000 euro per identici fini alla delenda provincia, in ragione della sua ancora permanente competenza in tema di lavoro e formazione, il territorio potrebbe disporre di 686 mila euro per fare attività di formazione. Si creerebbe un sistema di welfare locale, capace di individuare, per la realizzazione dei livelli essenziali delle prestazioni che lo Stato impone ma non finanzia, le risorse utili a poter davvero avviare molti ed efficaci percorsi formativi, sotto lo stretto controllo di efficacia dei comuni, che potrebbero contribuire a indicare quali profili professionali sono effettivamente richiesti.
Si creerebbe la possibilità di mettere a fattore comune risorse, che rischierebbero di risultare altrimenti disperse. E’ ben chiaro che un intervento formativo annuale da 686 mila euro, se ben progettato e coordinato, ha un potenziale molto più ampio di 100 singoli interventi da 7000 euro.
Altrettanto chiaro è che i comuni, da soli, senza un intervento di coordinamento di un ente intermedio, non potrebbero mai giungere a un simile risultato. Sia perché non trattano direttamente la materia, sia perché per realizzare una mega convenzione o unione di comuni, sostitutiva dell’ente intermedio, occorrerebbero anni e risorse tali da sconsigliare l’impresa. A sua volta, la regione sarebbe troppo distante, per realizzare un intervento come quello che si immagina, che appare ritagliato esclusivamente per un ente di livello intermedio.
Dunque, i presupposti e l’utilità di mantenere operante gli enti intermedi, del resto presenti in tutti i Paesi europei, ci sono. Eccome. Ragionare in termini di riduzione dei loro costi è corretto, pur considerando che le province, solo per effetto delle ultime manovre, su un volume complessivo della loro spesa di 11 miliardi, si ritroveranno con minori finanziamenti statali di circa 2 miliardi, riduzione pressoché identica a quella riservata ai comuni che di miliardi ne spendono 73.
Qualcosa non funziona nel programmare la riorganizzazione pubblica, in modo frettoloso, tale da cercare di rispondere non ad approfonditi studi sul funzionamento, ma a campagne di stampa che chiedono di effettuar tagli e abolizioni, non sapendo nemmeno perché.

Lascia un commento